Luigi Pirandello, Enrico IV – CENTENARIO – Parte ottava

L’imperatore Enrico IV supplica Matilde, Biblioteca apostolica vaticana, Manoscritto vaticano latino 4922, miniatura, in Matilde di Canossa: potenza e solitudine di una donna del Medioevo, Bologna, il Mulino, 1996, tav. 2, BMF MAR B 0 4618

di Vincenza Bordenca

Continua dalla settima parte

La tela si rialza lentamente per la terza e ultima volta, mostrando una sala del trono immersa nell’oscurità. Dalla luce del giorno, alle ombre del crepuscolo, al buio della sera: non sono soltanto le diverse fasi del giorno, ma è la storia narrata che si fa più buia di battuta in battuta, e che scivola inesorabilmente dal buco nero della mente, al buio dell’anima.

La didascalia all’inizio del terzo atto della tragedia ci informa, tra le altre cose, che

[…] . Le tele dei due ritratti sono state asportate e al loro posto, entro le cornici […]si sono impostati […] Frida […] e Carlo Di Nolli […].

Tornano i due ritratti che, come un cerchio che si chiude, siglano la storia di Enrico IV ma che presentano, ora, una importate novità: sono stati infatti “svuotati” dei volti dell’imperatore e della contessa, sostituiti dai due giovani fidanzati.

[…] . Al levarsi del sipario, per un attimo la scena appare vuota. Si apre l’uscio […] ed entra reggendo la lampa […] Enrico IV, […].

[…] Richiude l’uscio e si muove, tristissimo e stanco, per attraversare la sala, […]al secondo uscio […] che dà nei suoi appartamenti.

Nell’uomo, la rabbia selvaggia e impetuosa di poco prima, ha lasciato il posto a una profonda tristezza e lo vediamo avviarsi stancamente verso la propria camera, per andare finalmente a dormire. Ricordiamo che il piano strategico del dottore per ricondurre Enrico IV alla ragione, prevedeva che l’uomo avrebbe dovuto ritrovarsi innanzi, e improvvisamente nel buio, le “due Matilde”: quella della sua gioventù e quella di oggi. Probabilmente era questo il momento in cui sarebbe avvenuto l’incontro terapeutico e salvifico, ed è quanto lo spettatore, in effetti, si aspetta di vedere. Pensa che tra poco assisterà  a qualcosa di cui è stato già informato e, invece, a sorpresa, si ritrova improvvisamente di fronte a qualcosa di nuovo e di inatteso, e fatica a comprendere quanto sta succedendo sul palco; torna quella sensazione di spaesamento e incertezza che abbiamo visto all’inizio della tragedia. Nel silenzio si sente una voce chiamare Enrico: è Frida.

FRIDA (appena vede che egli ha di poco oltrepassato l’altezza del trono, bisbiglia dalla nicchia, come una che si senta venir meno dalla paura) Enrico…

ENRICO IV (arrestandosi alla voce,come colpito a tradimento da una rasoiata alla schiena, volta la faccia atterrita […] accennando d’alzare istintivamente, quasi a riparo, le braccia) Chi mi chiama?

Non è una domanda, è […]un brivido di terrore e non aspetta risposta dal bujo e dal silenzio terribile della sala che d’un tratto si sono riempiti per lui del sospetto d’esser pazzo davvero.

Senza una vera ragione i due giovani fidanzati abbandonano le nicchie dei ritratti, e tutti i personaggi della tragedia, richiamati dalle urla di Frida, entrano in scena uno dopo l’altro in una rumorosa processione: servitori, frate, dottore, Matilde, Belcredi… la paura rimbalza accrescendosi dall’una all’altro, e ciascuno di essi partecipa a questa improvvisa Babele

[…], senza curarsi d’Enrico IV che rimane a guardare, stupito da quella irruzione inattesa, dopo il momento di terrore per cui ancora vibra in tutta la persona, […].

Parlano tutti confusamente.

Verrebbe voglia di chiedere all’autore perché nella seconda nicchia ci fosse Carlo di Nolli, e non Matilde, e perché Frida dovesse chiamare Enrico proprio in quel momento, e perché avesse avuto paura e perché … ma, nel momento stesso in cui si avverte il bisogno urgente di capire, si intuisce che un perché, invece, non c’è: non c’è un motivo vero, se non quello della necessità dell’esito rovinoso. Enrico IV, come abbiamo già detto, insieme ad altri personaggi di Pirandello, è un predestinato: è un eroe tragico, anzi, un antieroe: vinto dalla vita, dalla impossibilità di una vita vera e autentica, sconfitto dalla incomunicabilità degli esseri umani, dalla mancanza di una unica realtà, perso tra le diverse e relative realtà individuali. E’ questo il filo rosso dell’opera, l’abbiamo individuato nei vari passaggi,  l’abbiamo visto legare tutti gli eventi e i personaggi e qui lo vediamo stringersi in un nodo stretto che precipita gli eventi. E’ come se ognuno vivesse in diversi universi paralleli, ciascuno con le proprie leggi e le proprie verità. Non è possibile un lieto fine, il personaggio resta prigioniero della propria maschera e soccombe al proprio copione.

Facciamo un passo indietro: torniamo brevemente al secondo atto, là dove Enrico IV parlando con i suoi consiglieri, aveva svelato loro il proprio segreto. Aveva raccontato di essersi ritrovato, un giorno di dodici anni addietro, con suo grande stupore, all’improvviso, perfettamente consapevole di chi in realtà egli fosse: insomma, si era ritrovato sorprendentemente guarito. Aveva confessato di essersi sentito smarrito allora, spaventato per tutti quegli anni di vita ormai irrimediabilmente persi e non più recuperabili, e di aver trovato molto più rassicurante continuare a vivere nella finzione della recita la vita di corte, piuttosto che la vita reale nel mondo, fuori dal castello. Così aveva scelto di continuare a fingersi pazzo poiché, rispettando un copione già fissato, per quanto dolorosa e difficile fosse la trama di quel copione, intessuta di sventure e difficoltà, si era sentito al riparo dalle sofferenze della vita reale. Aveva preferito la fissità di fatti certi e immutabili alla imprevedibilità della vita vera. Li aveva anche invitati a riflettere su quanto la vita fuori di corte fosse pericolosa e faticosa, e aveva concluso elogiando quello che aveva chiamato  “il piacere della storia”:

[…] E pensare, da qui, da questo nostro tempo remoto, […] sepolcrale, pensare che a una distanza di otto secoli in giù, […], gli uomini del mille e novecento […] s’arrabattano in un’ansia senza requie di sapere come si determineranno i loro casi[…]. Mentre voi, invece, già nella storia! Con me! Per quanto tristi i miei casi, e orrendi i fatti, […], non cangiano più, non possono più cangiare, capite? Fissati per sempre[…]. Il piacere, il piacere della storia, insomma, che è così grande!

Torniamo ora al terzo atto, a quella scena convulsa e caotica di prima; i consiglieri svelano agli altri il segreto di Enrico IV senza però informarli delle ragioni della sua finzione: svelando solo una parte di verità, quella più strabiliante, e tacendo l’ altra, finiscono con il dare una visione distorta della realtà: in fondo, raccontano la loro verità. Pertanto tutti adesso sanno che la pazzia degli ultimi anni era stata in effetti solo una recita magistrale dell’uomo, ma credono che egli abbia continuato nella propria finzione per prendersi gioco di loro. Dal canto suo, anche Enrico, che non sa spiegarsi l’irruzione serale di tutta quella gente in casa sua, e che crede di iniziare a indovinare una qualche ragione, si sente loro zimbello e vittima. La sua bizzarra teoria del piacere della storia, sembra dargli ragione: l’imprevedibilità della vita vera fa sì che gli eventi precipitino e prendano una piega rovinosa: a questo punto il lettore/ spettatore indovina che tutto è possibile.

Il dialogo diventa corale, interrotto e disarticolato: ciascuno parla dal proprio punto di vista, crede di essere nel giusto ed è in cuor suo convinto di avere il diritto di arrabbiarsi.

DI NOLLI (ora più indignato che stupito) Ma come? Se fino a poco fa…?

BELCREDI Mah!Recitava per ridere alle tue spalle, e anche di noi che, in buona fede..

DI NOLLI: E’ possibile? Anche di sua sorella, fino alla morte?

Enrico IV ([…]rimasto […]a spiare or l’uno or l’altro, sotto le accuse […]per quella che tutti credono una sua beffa crudele, ormai svelata; e ha dimostrato col lampeggiare degli occhi, che medita una vendetta che ancora lo sdegno, tumultuandogli dentro, non gli fa vedere precisa; insorge […]ferito, con la chiara idea d’assumere come vera la finzione che gli avevano insidiosamente apparecchiata, gridando al nipote) E avanti! Di’ avanti!

Non è più possibile tornare indietro: la finzione e la verità si confondono sempre più, si scambiano di posto in un gioco impazzito dove tutto si trasforma sotto gli occhi dell’altro, quasi come se un personaggio durante la recita continuasse a togliere e mettere una maschera davanti al viso, ora mostrandosi, ora celandosi.

La rabbia cresce, di attimo in attimo, di parola in parola, ed erompe il dolore, potente e profondo in Enrico IV. Ad un certo punto, rivolto al dottore:

ENRICO IV […] Sapete, dottore, che avete rischiato di rifarmi per un momento la notte nel cervello? […], far parlare i ritratti, farli balzare vivi dalle cornici…

Il suo sfogo amaro e disperato prosegue rivolgendosi, adesso, a Belcredi, l’amico/rivale di sempre:

ENRICO IV […] tutto ciò che dopo quel giorno di carnevale avvenne, per voi e non per me; le cose, come si mutarono; gli amici, come mi tradirono; il posto preso da altri, per esempio… che so! Ma supponi nel cuore della donna che tu amavi; […] tutto questo, sai? Non è stata mica una burla per me, come a te pare!

Poi, nuovamente  al medico:

ENRICO IV Caso interessantissimo, dottore! Studiatemi, studiatemi bene!

Non è facile scegliere i frammenti di dialogo da citare, perché, in questo momento dell’opera, ogni singola parola si fa ricca di emozioni, ogni passo porta con sé un carico di sofferenza, angoscia, rabbia e voglia di vendetta, di sete di giustizia e di bisogno d’amore. Basti per tutti il racconto di Enrico IV della propria guarigione, e di quella prima sensazione di vita ritrovata, di libertà recuperata e poi dell’angoscia e dello smarrimento di non saperla più vivere, quella sua vita persa dodici anni prima.

ENRICO IV […] via, via allora, quest’abito da mascherato! Quest’incubo! Apriamo le finestre: respiriamo la vita! Via, via, corriamo fuori!

Arrestando d’un tratto la foga:

Dove? A far cosa? […] tutto crollato, tutto finito: […] sarei arrivato con una fame da lupo a un banchetto già bell’e sparecchiato.

Poi la rivelazione sconvolgente:

ENRICO IV […] Lo so, non potevano stare ad aspettare ch’io guarissi, nemmeno quelli che, dietro a me, punsero a sangue il mio cavallo bardato…

DONNA MATILDE (subito, con orrore) Ma questo lo so adesso, io! […] Ma chi fu? Chi stava dietro alla nostra coppia?

ENRICO IV Non importa saperlo! Tutti quelli che seguitarono a banchettare e che ormai mi avrebbero fatto trovare i loro avanzi, […], o nel piatto insudiciato qualche lisca di rimorso, attaccata. Grazie!

Enrico IV tradito nel passato dagli amici d’allora, tradito oggi dai suoi consiglieri: amarezza e rabbia crescono, il senso di solitudine profonda si fa assoluto.

ENRICO IV […]- Confidarsi con qualcuno, questo sì, è veramente da pazzo!-[…]

Scoppia a ridere. Ridono ma sconcertati, anche gli altri, meno Donna Matilde.

Prosegue poi come un fiume in piena rivolgendosi ora all’una ora all’altro, poi il rimprovero finale ai due amanti

ENRICO IV […]Enrico IV sono io: io, qua, da venti anni, capite? Fisso in questa eternità di maschera! Li ha vissuti lei

Indica la Marchesa

Se li è goduti lei, questi venti anni, per diventare- eccola là,- come io non posso riconoscerla più: perché io la conosco così

Indica Frida e le si accosta […]a Frida:

[…]: il sogno che si fa vivo in te, più che mai! Eri lì un’immagine; ti hanno fatta persona viva- sei mia! Sei mia! Di diritto mia!

La prende quindi tra le braccia accompagnando il suo gesto con una folle risata che gela il sangue nelle vene. Minaccioso verso chi prova a portargli via la giovane liberandola dalla sua stretta, con la spada di uno dei servitori ferisce infine Belcredi. Tutti tornano a pensare che sia pazzo, tranne Belcredi che ha capito: l’uomo viene portato nella sala attigua: si sente un urlo, quello di Matilde, poi tutto tace. Enrico IV capisce che, ormai, dovrà rimanere ancora e soltanto, per tutta la vita, l’imperatore germanico che vive a corte coi suoi servitori.

ENRICO IV ( […], con gli occhi sbarrati, esterrefatto dalla vita della sua stessa finzione che in un momento lo ha forzato al delitto) Ora sì… per forza…

Li chiama attorno a sé, come a ripararsi,

qua insieme, qua insieme… e per sempre!

Cala la tela sul palcoscenico e sulla vita di Enrico IV. Il gioco bizzarro e indifferente della vita non contempla pacificazione, né riscatto. Vittima della propria finzione, voluta o imposta, l’essere umano diventa carnefice e preda di se stesso, in quella sorta di gioco degli specchi dalle tante immagini distorte che lo tengono lontano anche da se stesso.

FINE.

 

Finisce così il nostro viaggio tra alcune delle pagine di Luigi Pirandello, altri autori bussano alla porta, ed è tempo di aprirla.

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