L’OPERA E LA VITA DI MARISA MADIERI – Seconda parte

di Vincenza Bordenca

Continua dalla prima parte

Femminista ante litteram, con alle spalle una famiglia di solido stampo matriarcale, la Madieri crede fermamente nella forza e nel valore della donna e nei suoi diritti. Lo ha imparato dalle nonne e dalle loro vite, lo ha respirato nei loro racconti, e ne ha fatto il proprio credo. Nel romanzo Verde acqua sono diverse le pagine in cui parla della nonna Madieri e della nonna Quarantotto, singolarmente chiamate per cognome: la prima amata e ammirata, presa ad esempio per la forza, l’intelligenza e l’intraprendenza, per il forte senso di indipendenza e di rispetto di se stessa che l’avevano portata, ancora giovane madre, a liberarsi di un marito inetto e dannoso e a provvedere da sola al bimbo che portava in grembo, futuro padre della scrittrice.

La nonna […] era rimasta sposata per lunghi anni, poi improvvisamente nel 1904 qualcosa di grave deve aver sconvolto la sua vita. Il nonno pare fosse un facoltoso commerciante […]. Aveva infatti carrozza e cavalli, ma anche il vizio del gioco. La leggenda vuole che un giorno nonno Giorgio, avendo perso al Casinò casa, carrozza e cavalli, perdesse anche la moglie la quale, esasperata e incinta dell’ultimo figlio, mio padre, abbandonò la famiglia e si recò a Fiume. […], sola, priva di qualunque mezzo di sostentamento e con un figlio prossimo a nascere, la nonna non si perse d’animo. […] affrontò impassibile un lavoro faticoso e umiliante […]. […] come pulitrice al Casinò di Fiume […]. Per ironia della sorte proprio il Casinò […] le offrì poi anche l’occasione di ritrovare un’orgogliosa emancipazione economica e spirituale, molto difficile per una donna di quei tempi. […] ( Verde acqua p. 5-6)

Dalla nonna e dai suoi racconti Marisa bambina impara il senso di autonomia, di libertà interiore, ma anche la grande capacità d’amore e di tenerezza, il senso di responsabilità e l’abilità nel destreggiarsi tra difficoltà e dolori che la vita non le aveva certo risparmiato.

Tanto amata e ammirata la nonna paterna, tanto mal tollerata e deplorata quella materna, ugualmente forte e determinata, ma che offriva però alla nipotina l’esempio dell’altra faccia della forza femminile, quella che sa trasformarsi in tirannia e vessazione, disprezzo e prevaricazione.

Il demone della sua vita […] furono il successo e il potere, che idolatrò, perseguì e, nel suo piccolo, ottenne. Nella sua prepotente ambizione riuscì sempre a farsi riverire, temere, servire […]. I clienti la ossequiavano, i camerieri la temevano, il nonno le ubbidiva, la zia Teresa faceva la cuoca […] e la zia Nina la sguattera in cucina. (Verde acqua p. 29)

Forti e volitive, determinate e sicure di sé le nonne, dolce e remissiva Jole, la madre. La tirannide di nonna Quarantotto non risparmia le figlie, anzi, sono proprio loro le sue vittime predilette. Marisa bambina e poi donna vedrà troppe volte la mamma succube inerme di fronte ai capricci della propria madre, all’ingerenza di questa nella sua vita, vittima anche dell’abile arte manipolatoria della dispotica matriarca. Jole si mostrava agli occhi della figlia in tutta la sua vulnerabilità come vittima predestinata di diversi tiranni, non soltanto della madre, anche della suocera e del marito: è questa disarmante arrendevole mitezza della donna di fronte alle asprezze altrui, a risvegliare nella figlia il sentimento di protezione nei suoi confronti. Il sentimento di spontanea empatia della giovane, trova terreno fertile e si accresce in quel sentimento di solidarietà umana per tutte quelle donne, ma non soltanto, deboli vittime di prepotenze e crudeltà fisiche e /o psicologiche, siano esse di stampo maschile o femminile.

Nonostante il romantico avvio, la mamma ebbe dal matrimonio più dolori che gioie. […]. Passò dalla tirannide materna a quella della suocera […]. Il papà, che venerava sua madre, non comprendeva l’infelicità della giovane sposa, debole e sottomessa al più forte per natura. In seguito egli non le fu neppure fedele, pur amandola molto. Io intuivo le ragioni delle sommesse lacrime della mamma che soffriva in silenzio senza osare ribellarsi e dentro di me pensavo “Io non piangerò”. Non perdonavo al papà di cercare altre donne, avendo sposato la più bella e la più dolce fra tutte. Per le sue figlie la mamma sperava una vita diversa. Ci esortò sempre a studiare e a farci una posizione indipendente. Dobbiamo a lei, alla sua ostinata sfida ad ogni difficoltà, se abbiamo avuto ambedue la possibilità di completare gli studi e di fare le nostre scelte nel lavoro e in ogni altra circostanza. ( Verde acqua, p. 32-33)

Pagine dopo:

Voleva che, attraverso lo studio, a noi fosse risparmiata la sua esistenza faticosa. Ciò che la fece maggiormente soffrire in quegli anni furono le peripezie scolastiche di mia sorella, dovute a scarsa applicazione. Quando Lucina fu bocciata in seconda media, la mamma si disperò, quando fu respinta al liceo scientifico, si ammalò. Vedeva sua figlia destinata a rimanere per sempre nel brago della miseria, senza possibilità di riscatto. (Verde acqua, p. 103)

Anche Jole quindi, passiva e inerme per se stessa, si anima e sa insegnare l’indipendenza e l’autonomia alle proprie figlie: sa infatti diventare per esse una indomita guerriera che osa fronteggiare il marito e imporre la propria volontà per l’emancipazione e la libertà delle sue ragazze. Il senso di profonda solidarietà femminile della Madieri già esercitato in famiglia (non soltanto per la madre, ma anche per le zie) si accresce ulteriormente negli anni dell’esodo, quando le pareti pressoché inesistenti del Silos offrono alla giovane Marisa un campionario di donne vittime; nel suo romanzo-diario la scrittrice ormai adulta ricorderà donne maltrattate, picchiate, offese e sfruttate dai propri uomini, o destinate a svendersi.

[…] Del nostro padiglione, ad esempio, mi aveva colpito una donna […] madre di due bambini, pallida e magra, con grandi occhi sgranati e impauriti. Regolarmente, una volta al mese, veniva picchiata dal marito che ritornava a casa ubriaco, dopo aver riscosso i soldi del sussidio. Si vergognava molto di quanto le accadeva e dei lividi sul volto che non riusciva a nascondere. […]. ( Verde acqua, p. 97)

E ancora:

Il nostro box confinava, […], con quello di Emma. Più che di vicinato si poteva parlare di coabitazione. La sottile parete di legno e il tetto di carta assicuravano solo un isolamento visivo e non certo acustico.

La Emma era una donna ancor giovane e bella e viveva con un figlio piccolo, […]. Pesava su di lui il fatto di essere un “bastardino”. La Emma aveva una triste storia alle spalle. Sposata e madre di due figli, durante la guerra non aveva più avuto notizie del marito, […]. Credendolo morto, si era legata ad un altro uomo, da cui aveva avuto anche un bambino. Il marito invece era ritornato e l’aveva cacciata di casa prendendosi i propri figli. Anche il secondo uomo si era […] dileguato e lei si era trovata povera e sola ad allevare il frutto della sua illusione. […]

La Emma riceveva spesso i giovanotti nel suo box e, oltre l’esile parete divisoria, potevo udire le sue risate gaie e provocanti e i sussurri complici degli amanti. Mi chiudevo talvolta le orecchie per non sentire. Mater castissima, regina sine labe originali concepta, ora pro nobis. Io un giorno avrei incontrato un uomo forte, generoso e buono […], e l’avrei incantato volgendomi con un sorriso. (Verde acqua, p. 99-100)

Una pagina dal contenuto serio e tutt’altro che leggero, si stempera con un movimento lieve e inaspettato, divertente e ironico ma non dissacrante, e si chiude con un ingenuo e fresco anelito di leggerezza giovanile e di fiducioso sguardo proiettato verso il domani. La partecipazione empatica alle sventure della donna, non viene sminuita e la triste realtà profana di Emma trova una via di fuga sacra, uno scudo dalle brutture della vita, che permette a Marisa ragazzina di credere in qualcosa di diverso per se stessa.

Gli anni vissuti al Silos, con le diverse storie femminili di soprusi, miseria e prevaricazioni, radicano sempre più in Marisa, la convinzione del sacrosanto diritto della donna di poter essere se stessa, libera da ogni sorta di tirannia, in grado di crearsi il proprio destino, di seguire le proprie inclinazioni, di scegliere e anche di sbagliare. Vede la maternità come una libera e consapevole scelta, e non come un dovere o una inevitabile strada tracciata, imposta da altri o dalle circostanze. Diventare madre non può e non deve essere un dovere, bensì un diritto: e per la stessa ragione anche l’aborto non deve essere una obbligata via di fuga e una rinuncia solo per mancanza di alternative: la donna ha pieno diritto di scegliere o meno la propria maternità.

In Verde acqua racconta di giovani donne aiutate in un momento delicato e difficile della propria vita, salvate da famiglie patriarcali o da mariti violenti, o lasciate sole ad affrontare qualcosa di molto più grande di loro. Il centro di aiuto alla vita da lei fondato è la concretizzazione di questi principi che non restano solo idee, ma che si fanno fatti reali, che diventano supporto materiale, economico e pratico, e psicologico, affettivo. La Madieri entra con rispetto e discrezione nelle vite di donne abbandonate a se stesse e le aiuta, le affianca e sostiene, ne diventa la babysitter per consentire loro di accettare un lavoro che le renda autonome e capaci di provvedere al figlio che hanno trovato il coraggio di mettere al mondo. Diventa cosi’ madre di giovani donne, sorella o zia di altre meno giovani, e a tutte sa donare con amore il proprio tempo e il proprio entusiasmo, la propria grinta e la propria dolcezza: ecco perché all’inizio di queste pagine avevo detto che era stata “pronta a dare altro alle proprie “figlie”,[…], e a insegnare nuovi valori a figlie e figli, […]: la grande empatia che la scrittrice sente nei confronti dei più deboli la rende madre a 360 gradi.

Laura ha un mese e pochi giorni. […]. […] e’ entrata come un sorriso nella vita di coloro che non la volevano. Sono andata a trovarla […] . […] ha avvolto la bambina in una copertina e, mettendomela in braccio, mi ha lasciato darle il biberon. Aspirandone il tenero profumo, pensavo che Laura era anche un po’ mia e non l’avrebbe saputo mai. (Verde acqua, p. 95)

Pagine dopo:

Questa settimana dormirò un paio di volte a casa di una ragazza che è stata assunta al Comune come guardiano notturno trimestrale e non sa a chi lasciare la sua bambina di pochi mesi. Venerdì pomeriggio andrò a prendere all’asilo nido la piccola Valentina e la terrò finché non verrà la mamma che frequenta una scuola serale per […] trovare in futuro un lavoro migliore. Valentina, che ha due anni, viene volentieri a casa mia. Vuole bene, ricambiata, a Claudio e ai ragazzi, ma è soprattutto attratta dal nostro mite porcellino d’India, […] “Buffetto xe belo”, ha detto un giorno osservandolo e aggiungendo subito: “Anche la mia mama xe bela”. (Verde acqua, p. 143)

Dalla difesa della donna nel suo diritto di scelta o non scelta della maternità, alla difesa della vita nascente, il passo è breve: in realtà era già contenuto in quel più grande e totalizzante amore per la vita e la giustizia, per la difesa del più debole che era stato uno dei tratti distintivi del carattere di Marisa ancora bambina. Allora si era riversato per lo più su piccoli animali indifesi dei cui diritti la piccola era poi diventata decisa paladina.

[…], mi capitò di raccogliere un passero caduto dal nido. Mia sorella ed io amavamo gli animali e quell’uccellino ci portò molta gioia. […] Lo nutrivamo con pane bagnato e rosso d’uovo sodo, lo facevamo dormire in un nido di stoffa e lo portavamo a prendere aria fuori dal Silos.

Durante una di queste passeggiate il nostro uccellino fu preso da un gatto, […]. Disperate ci mettemmo ad inseguirlo finché questo, spaventato, lasciò cadere il passero, ferito e insanguinato ma ancora vivo. […] visse ancora alcuni giorni, quasi per non deludere il nostro amore. Un pomeriggio, mentre io dormivo […] venne a cercare rifugio nel cavo della mia mano abbandonata. Fu il suo congedo. […] lo trovammo steso su un fianco, […], gli occhi chiusi, le zampine composte. Gli animali affrontavano la morte quieti, con dignità. I loro occhi d’ambra, cifre arcane di una vita insondabile, sapevano accoglierne il mistero senza ribellione. […]. ( Verde acqua, p. 83-84)

In un altro passo:

Nella mia infanzia ero rimasta altre volte turbata dalla morte di qualche animale. […] . Alcuni vicini di casa avevano sacrificato alla fame del tempo di guerra un galletto, spirato davanti ai miei occhi senza un lamento, con molti fremiti. Una gallinella bianca, che il papà aveva portato viva dalle campagne dell’Istria e alla quale avevo avuto modo di affezionarmi poiché era rimasta alcuni giorni sul balcone […] , era apparsa un giorno di festa a tavola, arrostita. Per farci vivere, dunque, qualcuno doveva morire. Era la colpa originaria.

Da allora non mangiai più carne e fu soltanto la zia Ada che più tardi […] mi convinse, per il mio bene, a gustare qualche bistecca di manzo, rispondendo alle mie incalzanti domande con assicurazioni che non si trattava di vitello ma di bovino adulto, ucciso dopo aver almeno goduto l’amore della madre, succhiato il suo latte fino a soddisfazione, provato per qualche stagione le gioie dei pascoli estivi. Lo zio Alberto, […], mi faceva rilevare che quando pescavo e mangiavo il pesce non avevo tanti scrupoli. Così ogni boccone era un’insanabile contraddizione e trafiggeva il mio cuore che custodiva ancora oscuri desideri di metamorfosi. ( Verde acqua, p. 85).

Metamorfosi per una vita che, pur intensamente amata, vorrebbe diversa, più giusta e generosa soprattutto verso i più deboli e fragili: dagli animali della sua infanzia, alle donne sole o intrappolate in tristi prigionie familiari, ai bambini nel grembo materno. E poi ai vecchi soli e abbandonati, agli esuli, ai reietti, alle vittime dell’odio e della guerra, della società e della politica, dei giochi fatti sulla pelle dei cittadini. A tutte le vittime delle crudeli vicende storiche che calpestano confini e cuori. Alle vittime dell’indifferente crudeltà della vita, pur sempre meravigliosa e sacra, ma che non si cura dei singoli destini. A tutti è dedicato lo sguardo della Madieri: uno sguardo che sa guardare in profondità dall’alto di una vera accettazione della vita, consapevolmente osservata e vissuta, ma anche dal basso, dal punto di vista del più piccolo e indifeso.

Continua

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