L’OPERA E LA VITA DI MARISA MADIERI – Terza parte

Cristina Benussi, Graziella Semacchi Gliubich, Marisa Madieri: la vita, l’impegno, le opere, Empoli, Ibiskos Risolo, 2011, BMF MAR C 0 9982

 

di Vincenza Bordenca

Continua dalla seconda parte

Esempio sublime della prospettiva dal basso è quella bellissima favola dolce-amara che è La radura. Favola anche per adulti e non solo per bambini, (come non raramente accade), è il racconto bello e tenero, triste e tragico della vita breve di Dafne, una giovane margherita.

L’autrice ci racconta della nascita della piccola avvenuta in un mattino di maggio, in

[…] un prato qualunque, […] in mezzo a un bosco di quercioli, pini neri e cespugli di ginepro. (La radura, in Verde acqua La radura e altri racconti, Giulio Einaudi editore, 1998, 2006 e 2016, p. 153)

Il mondo si svela alla nuova arrivata a partire da quel prato per lei sconfinato e immenso che è la sua Patria, dove prima di lei erano nate le sorelle, i genitori, i nonni, e tutti gli altri personaggi del popolo delle margherite. Dafne non conosce i genitori che

[…] potevano abitare anche molto lontano o essere addirittura sfioriti nella stagione precedente. Ma a lei talvolta pareva di sentire una voce carezzevole e materna provenire da una zona remota, seminascosta da un masso, dietro il quale sbucavano alcuni capolini e ligule bianche. “Comportatevi bene, ragazze”, s’illudeva di udire in quella direzione, se il vento era favorevole, oppure: “ State attente a non prendere un colpo di sole. Riparatevi”.

I nonni, […], erano invece bene in vista. Veri nonni propriamente non erano, ma tutti li chiamavano così per la loro tarda età. Stavano […] in disparte su una collinetta, come si conviene alle persone sagge e autorevoli, […]. Conoscevano la storia di ogni sasso, di ogni calabrone, di ogni filo d’erba cresciuto nei paraggi e la raccontavano alle nuove generazioni, che perlopiù non stavano ad ascoltare.

Dafne […] doveva conquistarsi a fatica lo spazio necessario […]. Le sorelle più grandi, infatti, erano ingombranti ed egocentriche, sempre pronte a mandarla via […]. Soprattutto Camilla non la voleva vicino a sé, per timore che le rovinasse la pettinatura o le spiegazzasse le foglie. Una civetta insopportabile. Era sempre lì a lustrarsi al sole, a lisciarsi i petali, a mettersi in mostra non appena un insetto cominciava a ronzare nelle vicinanze. Mai, mai avrebbe voluto diventare come lei. Amanda, più sportiva e dinamica […]. Dafne si chiedeva perché fosse costantemente a dieta e se la prendesse con Camilla, definendola succube della cultura insettista. Dal tono capiva che non doveva essere un bel complimento.

Solo Rachele, la maggiore, la lasciava avvicinare. Era la più dolce, anche se forse la meno bella. Il gambo tozzo e corto reggeva un viso pienotto e bonario, che metteva di buonumore solo a guardarlo. ( p. 153- 154- 155)

Ho scelto di riportare diversi passi dalle prime pagine dell’opera, per offrirne un esempio dello stile e del linguaggio che è proprio quello di quando si narra una storia a un bambino. Nella Radura si alternano pagine come queste appena scorse, serene e leggere, dove ingenuità e candore portano un sorriso divertito e intenerito in chi legge, con altre più cupe e disperanti dove con uguale tono lieve, in una atmosfera da fiaba, si parla invece di morti e di catastrofi naturali, di lotte sociali e dissapori familiari, di sentimenti traditi e ingiustizie subite. Fino a quella estrema della inaspettata e tragica morte della protagonista.

Gli occhi curiosi di Dafne alla scoperta del mondo vagano tra i cespugli e i rami della radura che risuonano di voci e suoni, scorrono avidi sulle zolle ora verdeggianti e ora brulle di un terreno mai uguale che ospita tanti altri popoli differenti, animati e no; la piccola apprende che i diversi abitanti

[…] conducevano una vita regolare e indisturbata, scandita dai ritmi immutabili delle stagioni. […] le giornate e anche le notti non erano affatto noiose. […] era tutto uno sbocciare, crescere, strisciare, zampettare, svolazzare, scavare, brulicare, pareva di essere in un suk orientale. (p. 153)

Dopo aver indagato la realtà a portata di petalo, la curiosità della giovane margherita si rivolge a quel cielo ancora più immenso e infinito del suo prato, ricco di luci e mistero, che le schiude affascinanti e inquietanti, fantastici nuovi mondi immaginati.

[…] , i sibili e i fruscii, il vento e la pioggia, la luce bella del giorno e il nero inquietante della notte la riempivano di stupore e la gettavano in un’alternanza di immotivata paura, sfrenata euforia e obliosa felicità. Ma, soprattutto, le suscitavano nel cuore tante domande alle quali non sapeva dare una risposta. (p. 155)

In quella goliardica e brulicante varietà la giovane margherita inizia a fare le sue prime esperienze, a porsi le prime domande e a trovare le sue risposte.

Le capitò un mattino di scorgere tra due fili d’erba, steso come un panno messo ad asciugare, un ricamo di gemme luccicanti. Poteva essere l’abito di una regina o di una fata. […] .

– Rachele, cosa vestono le fate? – […]

– Dipende dalle circostanze.

– Che vai raccontando alla piccina, – si intromise Amanda.- Non riempirle la testa di sciocchezze. Le fate non esistono.

– Ma cos’era stamane quel velo lucente?

– La tela di un ragno, mia cara. Costruita per accalappiare gli stupidi insetti, che vedono nelle margherite solo un oggetto e vorrebbero relegarle al ruolo riproduttivo.

– Ma senti quell’esaltata. Sei invidiosa e nient’altro, – sbottò Camilla. – Gli insetti manco ti guardano. Loro sanno bene dove stanno i colori più seducenti, il nettare più genuino…

– I ragazzi hanno bisogno di sognare, Amanda. Come sta la tua amica Olimpia?- Rachele cercava di sviare il discorso.

– Con Olimpia ieri abbiamo stilato un documento molto importante sui diritti delle margherite.

– Brava, brava, – concluse Rachele conciliante.- […]

Dafne di tutto questo discutere di diritti e di insetti capiva solo che le sorelle non credevano nelle fate. (p. 156- 157)

Non è difficile ravvisare in Amanda lo spirito determinato e combattivo dell’autrice che qualche pagina avanti farà organizzare all’impegnata sorella di Dafne una vera e propria manifestazione con tanto di corteo di protesta.

Dafne non aveva mai visto una manifestazione ed era tutta eccitata […]. Col maturare del giorno la radura si coprì di palloncini multicolori, […] qualcuno cominciò a scandire frasi come “ il polline mai carpirmi potrai”, seguito da battimani e urla di “ abbasso gli insetti” e “viva le margherite”.

Amanda distribuiva manifestini, col viso rosso e la folta chioma scompigliata. Camilla si era chiusa in un disdegnoso silenzio, Rachele guardava incuriosita, […].

A mezzogiorno suonato Olimpia, l’amica di Amanda, tenne un discorso infiammato e molto applaudito. Poi tutto rientrò nella pigra tranquillità pomeridiana e Dafne, che non aveva capito niente ma era contenta lo stesso di aver partecipato a quella grande animazione, si appisolò sognando di volare appesa all’estremità del filo del palloncino, che teneva ancora stretto a sé e dal quale aveva deciso di non separarsi mai. ( p. 171-172)

Dafne cresce e di giorno in giorno trova i suoi punti di riferimento nella sorella maggiore Rachele e poi in Oscar, il vecchio giardiniere, a cui si affeziona e da cui riceve affettuoso supporto. Con lui la piccola ama intrattenersi perché ne apprende perle di saggezza, profonde verità che altrimenti non avrebbe mai scoperto e che, inoltre, come in un gioco di continui rimandi, portano la sua giovane mente a sempre più profonde riflessioni sulle verità ultime della vita.

Gli voleva bene. Era il più simpatico della radura. Corpulento e con la corolla già un po’ gualcita, brontolava in continuazione contro il disordine generalizzato, il pattume portato dal vento, dagli insetti e dalla stessa malagrazia delle margherite […], incuranti di ogni forma di educazione e sprezzanti della fatica di lui, […]. Con i piccoli, invece, era indulgente e gentile. […] interveniva in loro difesa e giustificava le loro marachelle. […].

[…], era anche un poco medico. Conosceva il segreto di ogni erba, […], il benefico effetto di ogni alito di vento o goccia di rugiada.

Le margherite anziane andavano da lui quando […] nessun insetto veniva più a trovarle […]. Oscar ordinava impiastri e tisane, ma sorrideva malizioso incoraggiandole ad accettare la realtà. Anche le margherite invecchiavano.

– Oscar, perché i nonni stanno sempre così storti? – gli chiese un giorno Dafne.

– I nonni hanno il gambo malfermo e la schiena curva sotto il peso dei giorni vissuti e delle esperienze fatte.

Come dovevano essere brutte le esperienze se riducevano così le margherite. Ma i giorni no, […]. I giorni erano belli, almeno quelli che lei stessa aveva finora conosciuto. ( p. 163-164)

La radura è anche il racconto di una educazione sentimentale, della scoperta affascinante e sempre avventurosa della vita e di tutti i suoi meravigliosi misteri, dei sogni ingenui che si infrangono su una realtà diversa e inaspettata, non sempre benevola, ma sempre degna di essere vissuta. Anche quando si interrompe bruscamente a causa di quel gioco indifferente e leggero della natura che crea e distrugge con uguale indifferenza. La gaia spensieratezza di Dafne si imbatte un giorno nella crudeltà inaspettata della natura. Una sera, dopo un violento temporale che si abbatte sulla radura, i suoi occhi si aprono su una realtà diversa da quella sperimentata fino a quel momento, che la sgomenta e atterrisce:

L’uragano durò a lungo, sempre più forte e rabbioso. Presto cessarono perfino i lamenti e tutti piombarono in una cupa rassegnazione. Si udiva solo il sibilo sinistro del vento e il martellare dell’acqua sui tronchi e sui sassi. […]. Rivoli fangosi scorrevano dappertutto, portando carcasse di chiocciole, ragni e lombrichi assieme a foglie secche, detriti di legno e aghi di pino. Una desolazione.

Dafne si guardò attorno smarrita. Tutto le pareva diverso. […]. Vicino a lei Camilla strizzava le vesti, mentre Amanda metteva ad asciugare i manoscritti divenuti illeggibili.[…] Rachele piangeva. […]

– Vedi, bambina mia, domani saremo di meno. ( p. 165-166)

L’esperienza della morte come momento necessario e naturale dell’esistenza, nonostante l’insorgere di nuove emozioni, della paura, del dolore, del sentimento di rassegnata impotenza, niente toglie però alla gioia di vivere e al gusto di sempre nuove scoperte e nuove esperienze. Dafne apprende così che anche il dolore può trasformarsi in un lontano ricordo e che sempre il nuovo giorno che sorge porta con sé nuovi fantastici doni: una nuova amicizia con un grillo, con una rana, le prime emozioni d’amore.

Una lettura attenta dell’opera non può non rilevare la presenza dell’elemento matriarcale che abbiamo visto in Verde acqua anche ne La radura: infatti la favola pullula di figure prevalentemente femminili: nella società delle margherite, tranne poche eccezioni come Oscar, Basilio il bibliotecario, il Presidente del Consiglio dei Saggi e i non meglio definiti “nonni”, i personaggi sono caratterizzazioni delle diverse virtù, e vizi, squisitamente femminili. La protagonista con le sorelle, e le amiche, la voce materna che le parla trasportata dal vento, “la maestra Venanzia grassa e sempre raffreddata e Maricò, cantante lirica molto applaudita e molto capricciosa” (p. 183). In una anziana zia, Augusta, emergono i tratti tossici della nonna Quarantotto che abbiamo conosciuto in Verde acqua:

Le ore dedicate alla zia Augusta erano per tutti una penitenza. A turno Dafne e le sorelle dovevano farle compagnia il pomeriggio. La zia Augusta, con la scusa di essere sola e non più giovanissima, tiranneggiava i parenti più stretti inventando malori e disturbi tra i più fantasiosi […]. Ogni tanto aveva il gambo di vetro, diceva, o il sepalo irrigidito, sicché le risultava difficile e molesto piegare la testa[…]. (p. 174)

L’anziana zia era stata a suo tempo una margherita “vistosa e attraente e anche chiacchierata” (p.174) . Aveva vissuto una relazione passionale con un calabrone più anziano che aveva fatto nella sua vita il bello e cattivo tempo, abbandonandola per lunghi periodi senza alcuna spiegazione. Quando poi la storia era finita definitivamente, lei aveva cercato

[…] di consolarsi con la compagnia di vespe e maggiolini che le avevano sempre ronzato volentieri attorno, ma non era la stessa cosa. […] . (p.174)

Esperienza illuminante per Dafne è il Consiglio dei Saggi convocato in tutta urgenza e che mette il popolo delle margherite in gran subbuglio. Su di esse incombe un grave pericolo di sopravvivenza per il dilagare minaccioso e sempre più crescente della fioritura dei soffioni. Dopo un divertente scambio di vedute e di botta e risposta tra le varie margherite intervenute all’importante adunanza, la giovane margherita apre, anzi, spalanca gli occhi su una realtà che fino ad allora le era rimasta nascosta:

Dafne quel giorno capì per la prima volta che il mondo non apparteneva soltanto alle margherite. I soffioni, che le erano sempre piaciuti con i loro petali color dell’oro e i soffici palloncini trasparenti, […], potevano diventare concorrenziali e pericolosi. Non erano, dunque, sbocciati nella radura per la gioia delle margherite, ma accanto alle margherite. E così probabilmente ogni altra pianta, albero e fiore e perfino gli animali non erano semplicemente parte del paesaggio, come aveva sempre creduto, ma compagni di viaggio a pari titolo e coinquilini nella casa comune.

Si guardò intorno piena di stupore, sentendosi piccola e marginale. (p. 186)

Anche la scuola si rivela per la piccola preziosa e, anche se

Le margherite hanno un sistema educativo molto elastico. L’istruzione viene solo consigliata. “Meglio colti che còlti ”, era il motto scritto all’ingresso della scuola. […] (p. 188)

lei si ripropone invece di impegnarsi seriamente nella propria istruzione perché voleva

dar finalmente una risposta ai numerosi interrogativi che si era posta fin da piccolina. (p.188)

Dopo una lezione sui bruchi, voraci mangiatori di margherite, che però diventano crisalidi e poi insetti, quegli stessi insetti di cui poi le margherite si innamorano e di cui hanno bisogno per riprodursi, Dafne scioglie uno dei principali enigmi in cui si era dibattuta la sua giovane mente e riflette sulla profonda verità che:

Amore, morte, dolore, nascita, metamorfosi, tutto era legato in un nodo indissolubile. (p. 194)

Un’occasione mondana nella radura, l’inizio della stagione musicale, vede una Dafne ormai non più piccina, mostrare una diversa sensibilità verso il mondo che la circonda, e una nuova consapevolezza che la porta a ripensare con rimpianto ai suoi giorni lontani in cui tutto era gioco e meraviglia, e ancora non conosceva tante verità inquietanti.

Dafne, stupita che gli adulti si entusiasmassero piuttosto per le prodezze di una margherita che per il più vasto e arcano concerto delle cose, ascoltava con gli occhi chiusi. […].

Un’indicibile nostalgia la prese all’improvviso per i giorni già lontani della sua vita in cui tutto era mistero e avventura, quelli in cui credeva nelle fate, giocava con Celeste, parlava con il grillo e la rana. Non li capiva più ora i suoi amici. (p. 198)

Aveva anche pensato di non andare più a scuola, per non apprendere tante verità immutabili che le facevano male e che inquietavano il suo animo sensibile. Ma la maestra inizia a parlare di letteratura,

cosa che fu un balsamo per l’animo un po’ malinconico di Dafne. Nei romanzi, nei racconti e nelle poesie scoprì il regno della libertà. Lì tutto era possibile, c’era posto per il sogno e la speranza. Si poteva […] esiliare il dolore, conciliare i nontiscordardimé con le margherite e perfino evocare un mondo senza i bruchi e le serpi […] (p.203)

Il passo ricorda molto quello citato in Verde acqua e sottolinea il valore dei libri e della letteratura per la Madieri. Anche Dafne, come Marisa bambina esule all’interno del Silos, infatti trova nella lettura un posto in cui rifugiarsi e da cui attingere nuova forza per sperare e andare avanti. Ma Dafne comprende che la letteratura è anche più di tutto questo. Secondo la sua esperienza un paesaggio può essere addirittura più bello descritto in un libro che non nella realtà e, volendo lei stessa da grande scrivere dei racconti autobiografici, conclude che la letteratura è anche il regno della bellezza e non soltanto, anche della verità.

Ma l’esperienza più sconvolgente di tutte è, per Dafne ormai giovane adolescente, quella dei primi turbamenti e pene d’amore.

Non aveva mai visto in vita sua una farfalla così bella.

Qualcosa si sciolse d’improvviso nel ritroso cuore di Dafne. Fu presa dal desiderio di toccare quell’insetto stupendo e irraggiungibile. Avrebbe voluto sfiorargli le ali con un petalo per accarezzarlo.

[…] , la farfalla volteggiò […], posandosi su vari fiori vicini, ma senza accorgersi di lei,[…].

Dafne […]. Non parlò con nessuno di quella visione e nascose il suo segreto in fondo al bottone giallo, impercettibilmente più lucente e vellutato. (p. 207)

Un altro tema importante nell’opera della Madieri, quello della memoria, punto cardine attorno a cui ruota il romanzo-diario Verde acqua a cui torneremo, è affidato ne La radura a un racconto nel racconto: è la favola preferita di Dafne, riletta più volte con l’amica del cuore Celeste. Cuore di pietra è la storia di un amore infelice. Il titolo farebbe pensare a un cuore duro, impenetrabile al sentimento, ma in realtà si tratta del cuore di una pietra e del suo amore infelice per uno scoiattolo.

Come tutte le favole che si rispettino inizia così:

C’era una volta una bella pietra bianca, antica e splendente come gli astri del cielo. Era orgogliosa della sua immobilità, e guardava le creature viventi con disinteresse, perfino con insofferenza. Erano tutte così volubili e inaffidabili. Ne sapeva qualcosa lei, […] quotidianamente meta di formiche esaltate, ragni sospettosi, larve e lombrichi flemmatici, […]. Oggi erano qua, domani là, a volte tranquilli, più spesso agitati. Non di rado sparivano del tutto. No, la pietra amava la stabilità, la durata , la costanza. (p. 210)

Ma un giorno uno scoiattolo le si era accovacciato sopra, giusto il tempo di rosicchiare una pigna, e lei aveva avvertito il tepore e la morbidezza del suo corpo, provato nuove sensazioni sconosciute e quando lo scoiattolo poi era fuggito via, la pietra

[…] sentì qualcosa incrinarsi al centro del suo essere compatto. Provò nostalgia per il tepore di quel corpo. […]. Com’era felice […] ogniqualvolta le dita sottili del suo amico, […], la sfioravano […].

Ma un brutto giorno lo scoiattolo non si fece più vedere. La pietra cominciò ad aspettare il suo ritorno […], col cuore sempre più in tumulto. Non poteva rassegnarsi a perderlo e si faceva mille domande. (p. 210-211)

L’amore per lo scoiattolo aveva stravolto la vita tranquilla e statica della pietra che, anche dopo aver smesso di sperare e di aspettare un suo ritorno, non fu più la stessa di prima:

Aveva conosciuto la felicità e il dolore, conobbe il mutamento. […]. Si accorse che, se da un lato molto stava perdendo, dall’altro aveva acquistato una cosa assolutamente preziosa, ignota alla vita minerale, la memoria.

Le rimaneva nel cuore il ricordo intatto di dolci ore lontane. (p. 211-212)

La scuola alla vita di Dafne, ormai fiorente adolescente, prosegue e le rivela verità sempre più scomode difficili da accettare. Grazie alle lezioni di storia e geografia scopre che:

[…] i confini del mondo non coincidevano con i confini della sua radura, già di per sè un labirintico universo difficile da esplorare. In luoghi lontani esistevano prati ancora più grandi, distese immense […] (p.213)

Da qualche tempo si sentiva più inquieta. […] Le riusciva difficile immaginare quegli altri mondi,[…]. Venivano da quelle lontananze misteriose le farfalle azzurre? […]. Non aveva più rivisto, da quel giorno, la farfalla vestita di cielo […] forse si era trattato soltanto di un sogno. (p. 215)

Con l’arrivo dell’estate e la triste novità che il tempo di fioritura delle margherite sarebbe giunta presto al termine, e che quindi innumerevoli altri popoli di fiori avrebbero preso il loro posto, sarebbero fioriti e poi sfioriti anch’essi per lasciare il posto a nuovi inquilini nell’immutabile alternarsi delle stagioni, la nuova consapevolezza sgomenta Dafne e fa nascere in lei il desiderio di perpetuarsi in altre piccole margheritine: urge in lei il desiderio di guadagnarsi così una fetta di futuro, quando la danza delle stagioni avrebbe lasciato nuovamente nel prato spazio per il suo popolo.

[…] che il mondo fosse esistito prima di lei era accettabile, ma che dovesse esistere dopo di lei e senza di lei, questo era troppo. ( p. 216)

-Ma io ritornerò, quando il mio tempo sarà scaduto?

-Molto di te rimarrà nei frutti e nei semi che saprai produrre .

Dafne decise allora di produrre un giorno molti frutti e molti semi. (p. 217)

Ma mai avrebbe acconsentito a offrirsi a un qualunque insetto che non fosse la sua farfalla azzurra. Si scopre disposta anche ad abbandonare il suo amato prato, le sue sorelle, Celeste, Oscar e tutti coloro che amava per andare in terre lontane a cercarla e unirsi a lei. Il tema dell’esilio, altro nucleo essenziale della scrittura della Madieri, trova spazio nelle ultime pagine del racconto, viene adombrato ma non realizzato per l’incombere di un altro e ben più irreversibile esilio, quello dalla vita.

Dafne si figurava la malinconia di essere lontana dalla sua zolla, la sofferenza di dover rinunciare agli affetti, alle amicizie, alla fisionomia familiare della sua radura, e si sentiva vacillare, […] tra l’amore necessario per l’antico e l’intrepida e irrinunciabile attrazione per il nuovo. (p. 221)

Nell’orizzonte lieto pieno di promesse d’amore e di vita, di progetti e sogni di Dafne pronta alla vita adulta, nubi fosche si avvicinano: un giorno arriva nella radura

Una festosa comitiva di uomini […]. Fatto strano. La radura era fuori da ogni percorso turistico e gitaiolo. […] Dafne era alquanto emozionata all’idea di vedere finalmente qualcuno proveniente da quell’altro mitico mondo studiato a scuola. […].

Una bambina si era seduta proprio vicino a lei, […]. I capelli bruni le scendevano teneri come petali sulla spalla […]. Dafne si chiedeva a quale fiore potessero rassomigliare i suoi occhi […] color del miele, in cui rilucevano pagliuzze dorate. Forse proprio al bottone di una margherita. Non si sarebbe sorpresa di vedere un’ape […] avvicinarsi per naufragare in quel lago di dolcezza.

Doveva essere suo l’abito trapunto di gemme che aveva intravisto un mattino lontano. (p. 224-225)

Dafne osserva incuriosita l’allegra compagnia, i bambini che giocano rincorrendosi tra allegre risate. Poi qualcuno decide di “eleggere la regina delle fate” e arriva improvvisa e crudele, festosa e indifferente la morte.

I ragazzi […] iniziarono a raccogliere i fiori più grandi e più belli. Le margherite non ebbero neanche il tempo di rendersi conto di quanto stava succedendo. […] .

Prima fu il turno di Rachele, poi di Camilla e di Amanda. Non si udì neppure un lamento. Tutto si svolgeva con la semplicità di un accadimento lungamente atteso, con la calma e l’eleganza di un rito necessario. […]

Una cascata di capelli la sfiorò all’improvviso come una carezza e una piccola mano calda l’abbracciò alla base dello stelo. […] Uno strappo, un dolore intenso proprio al centro del creato. […].

Dov’era l’umida e compatta zolla materna? […] Era questa la fine del tempo? E i frutti? I semi? Oh, Celeste falli anche per me. […]

Il dolore non durò a lungo, […]. Ad uno sfibrato languore subentrò un dolce finale abbandono.

Fluttuava ora nell’aria come il suo palloncino e l’azzurro cupo del cielo era un abisso in cui sprofondava. […].

[…], la bambina dai capelli bruni ricomparve all’improvviso. […]. Tolse dal capo la ghirlanda di fiori che l’aveva […] incoronata regina e la depose delicatamente su un cespuglio.

Si allontanò infine […], sollevando nella corsa la gonna, azzurra e leggera come l’ala di una farfalla.

Dafne non lasciò mai la sua radura. (p. 227-228-229)

Termina così La radura, con la vita di Dafne che finisce mentre la vita intorno a lei esplode dei colori e profumi più belli.

Il racconto-favola della Madieri merita sicuramente una lettura più estesa e capillare, ma in queste mie pagine ho dovuto a malincuore tralasciare momenti di vera poesia.

Questo spazio non e’ sufficiente per scoprire tutte le pieghe di una narrativa ricca e generosa, per cogliere tutti i diversi spunti che la penna sapiente della Madieri ci offre. Spero, però, di aver risvegliato in chi sta seguendo questo viaggio tra le pagine la curiosità e la voglia di andare a vedere da vicino e gustarsi questo piccolo grande capolavoro della nostra letteratura.

Continua…

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