LA COSCIENZA DI ZENO: a 100 anni dalla prima edizione

di Sara Jacobsen

“Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno piú, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie” (Svevo 1923 p. 518-519)

E’ questo il finale della Coscienza di Zeno, forse il passaggio più celebre del romanzo, ed è difficile pensare a un’immagine che meglio descriva le inquietudini della modernità: della nostra, e di quella contemporanea al testo, ambientato all’inizio della Prima Guerra Mondiale e scritto tra il 1919 e il 1923.

Italo Svevo (pseudonimo di Aron Hector Schmitz, 1861-1928), uomo d’affari triestino, scriveva per passione, non per mestiere: pubblicò tutti i suoi romanzi a proprie spese, ottenendo scarso successo di critica e di pubblico: solo a partire dal 1925 il suo lavoro, in particolare La coscienza di Zeno, iniziò ad essere compreso e apprezzato, anche grazie all’amico James Joyce e a Eugenio Montale, fino ad essere considerato oggi, a 100 anni dalla pubblicazione nel maggio 1923, un classico e un capolavoro della letteratura italiana.

Autobiografia fittizia dell’uomo d’affari Zeno Cosini, scritta su indicazione di un immaginario psicoanalista, il romanzo narra, in ordine temporale sparso, alcuni eventi della vita del protagonista: l’infanzia e il rapporto col padre; la dipendenza dal fumo e dal rituale dell’”Ultima Sigaretta”, mai tale; la scelta della moglie e dell’amante; l’amicizia controversa col socio commerciale e rivale in amore, che finirà in modo tragicomico; lo scoppio della guerra. La narrazione è svolta in modo non lineare, rispecchiando il punto di vista e il flusso dei pensieri dell’Io narrante, e anche le sue menzogne, di cui siamo avvisati dall’autore attraverso la voce dello psicoanalista che pubblica l’autobiografia di Zeno “per vendetta”:

“Se sapesse quante sorprese potrebbero risultargli dal commento delle tante verità e bugie ch’egli ha qui accumulate…” (Svevo 1923 p. 6)

e attraverso la voce di Zeno stesso:

“Il dottore presta una fede troppo grande anche a quelle mie benedette confessioni che non vuole restituirmi perchè le riveda. Dio mio! Egli non studiò che la medicina e perciò ignora che cosa significhi scrivere in italiano per noi che parliamo e non sappiamo scrivere il dialetto. Una confessione in iscritto è sempre menzognera. Con ogni nostra parola toscana noi mentiamo!” (Svevo 1923 p. 479)

Seguiamo la narrazione dunque con una sorta di vertigine: sappiamo che il narratore talvolta mente: a volte senza saperlo, mentendo anche a sé stesso, a volte forse sapendo di mentire. Ma sappiamo anche che sta scrivendo un diario, che i pensieri si susseguono liberi e confusi, e in gran parte, probabilmente, sinceri. Talvolta riusciamo a distinguere le menzogne che Zeno racconta alla propria stessa coscienza, come nel caso dei celebri “lapsus” freudiani nell’episodio del suicidio del socio e rivale in amore Guido, del quale Zeno si dichiara amico ma che, di fatto, spinge involontariamente (involontariamente?) al suicidio e del quale “manca” il funerale, recandosi per distrazione e per errore (per errore?) al funerale di un altro. E mentre seguiamo il girovagare, le contorsioni e gli autoinganni della coscienza di Zeno Cosini, sappiamo, siamo costretti ad ammettere, che la nostra coscienza funziona nello stesso modo.

Il debito di Svevo nei confronti di Freud è evidente e anche ammesso esplicitamente, ma non è incondizionato: nel momento stesso in cui l’autore, avendo scoperto l’opera di Freud, ne utilizza gli elementi per scavare nelle motivazioni umane e nella molteplicità dei livelli del comportamento, compie anche un’opera di ironico understatement della psicoanalisi. Lo psicoanalista di Zeno è presentato in modo non lusinghiero, sia esplicitamente (rompe tutte le regole deontologiche pubblicando il diario del proprio assistito per vendetta di non aver concluso la terapia) che attraverso le parole di Zeno stesso. Quest’ultimo ci appare, più del dottore, consapevole che quanto della sua personalità viene descritto come “malattia”, ovvero l’ipocondria, l’incertezza, la scarsa volontà, sia in realtà semplicemente ironia, incapacità di prendere le cose totalmente sul serio, inettitudine come volontà di posizionarsi lateralmente rispetto alla lotta superomistica per il successo e la sopraffazione dell’altro: guardando oggi a quegli anni, questo appare come l’unico atteggiamento sano di fronte ai vertiginosi mutamenti della cultura e della storia.

Sono gli anni della crisi della meccanica classica: Einstein negli anni Dieci con la Relatività generale, Heisenberg e Schroedinger negli anni Venti col perfezionamento della meccanica quantistica, demoliscono le basi stesse della fisica come era stata intesa fino a quel momento, ampliandone vertiginosamente gli orizzonti e ponendo, tra le altre cose, le basi per la costruzione della bomba atomica nel 1942. Dal punto di vista storico, la Prima Guerra Mondiale inaugura un periodo di instabilità politica che porterà ai regimi totalitari, e negli stessi anni è ormai giunto a maturazione il sistema della produzione di massa e del capitalismo finanziario: si inaspriscono le tensioni e i conflitti sociali e politici. Intanto, lo sviluppo dei sistemi di comunicazione intensifica i contatti tra culture e religioni diverse. Il mondo delle certezze ottocentesche non esiste più: i mutamenti sono rapidi, la crescente complessità rende la realtà poco leggibile con gli strumenti antichi, il futuro è incerto, e l’essere umano si sente mancare il terreno sotto ai piedi. Lo spirito dell’inizio del Novecento è invece ben leggibile grazie agli strumenti forniti da quelli che Paul Ricoeur (1913-2005) ha chiamato “i maestri del sospetto” e che solo apparentemente sono molto lontani tra loro: Marx, Nietzsche e Freud. Marx mostra che al di sotto delle idee morali e delle norme sta sempre una struttura materiale, a sua volta prodotto umano, ed è solo agendo su quest’ultima che può cambiare la condizione umana nel suo complesso; Nietzsche, smascherando le reali motivazioni che sottostanno alla religione e alla morale occidentale, propone un nichilismo che è allo stesso tempo smarrimento di un centro di gravità, e liberazione da un’illusione; Freud infine mostra che l’essere umano (l’Io) è dominato dall’Inconscio e dal Super-io, e che non è veramente libero finchè non diventa consapevole delle forze che agiscono su di lui.

Nella voce di Zeno Cosini è presente tutto questo. Egli è consapevole dei propri limiti, dei propri errori e debolezze. Si descrive, ironicamente ma con onestà, come un inetto, incapace di giocare allo stesso gioco in cui sono indaffarati gli altri, e destinato a guardare gli altri e se stesso con l’occhio impietoso dell’analista:

“Adesso che son qui, ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l’uomo ideale e forte che m’aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente” (Svevo 1923 p. 14)

Se guardiamo il contesto letterario di quegli anni vediamo, all’estero, numerosi autori che hanno dato voce all’uomo moderno e al suo smarrimento, al suo dubbio continuo, al suo senso di assenza, alla vertigine del suo mondo interiore: Joyce, Proust, Musil, Kafka, Woolf, Mann, Beckett. In Italia, non è altrettanto facile trovare una voce simile in quegli anni: forse solo Pirandello che, paradossalmente, non apprezzò l’opera di Svevo, che a sua volta non lo perdonò per averlo ignorato e frainteso[1]. Questo è sicuramente il motivo per cui l’accoglienza della Coscienza fu molto tiepida. Come abbiamo accennato, Svevo dovette pubblicare a proprie spese il romanzo presso l’editore bolognese Cappelli, che sottopose il manoscritto all’esame dello scrittore Attilio Frescura, il quale espresse molte riserve sulla lingua, sulla prolissità, sull’argomento troppo quotidiano e di scarso interesse, e sulla mancanza di un vero finale. Dal momento che non ci sono giunti manoscritti e correzioni dell’opera, a lungo si è creduto che avesse poi avuto luogo una riscrittura, magari con cambiamento del finale, e che addirittura le celebri righe conclusive fossero posteriori alle osservazioni di Frescura o persino suggerite da lui: invece il recente ritrovamento di una lettera di Svevo chiarisce che quest’ultimo era molto sicuro del valore del proprio romanzo, che in pratica non fu modificato:

“Il rimprovero di prolissità l’accetto intero. Io so che Lei con un’agile parola potrebbe sostituire varii miei periodi ma non è da aspettarsi che lo possa fare mettendosi al mio posto. È di nuovo il mio destino e non c’è altro da fare che abbandonarmi allo stesso. Invece non sono assolutamente convinto ch’Ella abbia ragione circa lo svolgimento del romanzo. Mi resta il dolore che un italiano della Sua levatura l’abbia frainteso. Non è un malato il mio, ma un tipo. Però il suo sentimento di essere malato è più vero di quanto possa sembrare a chi non conosce gli studii del Freud e della sua scuola. Ebbi la convinzione che non sarò inteso specie dopo di aver letto un articolo sul Freud di quello studioso del resto rispettabilissimo ch’è il Dr. Ry nel Corriere della Sera e che farebbe ridere i polli se i polli conoscessero il Freud. Io, sinceramente, credo tuttavia che in ogni capitolo il mio eroe sia uno strano uomo che senz’accorgersene (nel penultimo capitolo) spinge alla morte un suo amico dopo di averlo spinto alla rovina. […] Ad ogni modo pubblico risolutamente il romanzo come sta” (Ettore Schmitz a Attilio Frescura, 15 febbraio 1923[2])

Come si è detto, La coscienza di Zeno fu aspramente criticato, o ignorato, dagli italiani contemporanei: sono del resto gli anni di ascesa del fascismo, la cui estetica era ben lontana dall’autoironia e dai toni pacati e riflessivi, gli anni dell’impresa di Fiume del poeta-Vate D’Annunzio, dell’interventismo, del culto futurista della velocità. Da parte della critica italiana, il fatto che Svevo fosse apprezzato da Joyce e dai francesi rafforzava anzi il giudizio negativo:

“I cenacoli parigini, non contenti di regalarci pose e snobismi letterari sempre nuovi, ci regalano anche le “celebrità italiane”. Italo Svevo, commerciante triestino, scrittore di tre mediocri romanzi, valutato da noi, secondo i suoi meriti, con una rispettosa indifferenza, è improvvisamente annunciato come un grande scrittore da uno scadente poeta irlandese abitante a Trieste, l’Joyce, uno scadente poeta di Parigi, Valery Larbaud, e un critico, il Crémieux, che, essendo intenditore di cose francesi, passa in Francia come intenditore di cose italiane; forse perché ne conosce pochissimo, fra gente che non ne conosce nulla. Quale  il  merito  dello  Svevo?  D’essersi  avvicinato,  più  d’ogni  altro  italiano,  a  quella  letteratura passivamente analitica, che ebbe i suoi fastigi in Proust, ed è arte scadente, se arte è opera d’uomini vivi  e attivi;  se un pittore vale più d’uno  specchio.  I  cenacoli  italiani,  servilmente, accettarono la nuova gloria; ma essi,  per fortuna, sono  così  estranei al pubblico e  alla letteratura viva, che tutto rimase lì.” (Guido Piovene, Letteratura analitica come menzogna e compiacimento dell’abiezione morale, 1927, in Del Missier 1982 p. 190-191).

Si è detto sopra che il tipo di uomo descritto nella Coscienza di Zeno incarna lo spirito disilluso del primo Novecento, compreso il pensiero di Nietzsche. Questa può apparire come una contraddizione, ma non se si pensa che il Superuomo di stampo fascista è quello di D’Annunzio, che semplificò il discorso nietzschiano conservando solo la volontà di potenza, il culto della bellezza, l’istinto di lotta e sopraffazione e l’estetica della violenza, mentre il pensiero di Nietzsche, comunque sfaccettato, provocatorio e contraddittorio, aveva come tratto più rivoluzionario piuttosto l’audacia del Superuomo di vedere la realtà al di sotto delle illusioni (la religione, le strutture della società apparentemente costituite e intoccabili) e guardare il baratro sotto di sé senza il conforto del sacro, delle credenze metafisiche e di valori etici fasulli. In questo senso, è forse eccessivo e ridicolo pensare a Italo Svevo/Zeno Cosini come a un Superuomo, ma di certo il suo sguardo ironico, disincantato e laterale, la sua analisi delle meschinità e contraddizioni umane e l’onestà di mostrare la propria inettitudine possono essere intesi come coraggio piuttosto che debolezza.

 

 

“La superficie del comportamento esteriore, l’affabile e banale compostezza borghese appaiono l’unico argine che difenda dal vuoto retrostante, dalla disperazione di riconoscere che non c’è una vita vera oppure che essa è orrida. Pochissimi hanno afferrato al pari di Svevo la scissione borghese fra azione e conoscenza, fra vita e giudizio sulla vita, fra la vita che scorre torpida e oscura e la sua onda che s’inalza un attimo da quel fluire per capirne il senso ma subito ricade nel suo gorgo opaco” (Claudio Magris, Italo Svevo: la vita e la rappresentazione della vita, in Marchi 1979 p. 93).

 

[1] “[…] Quell’indimenticabile Suo salotto funestato solo dalla fotografia di Pirandello (cui mandai il mio romanzo e scrissi quattro mesi fa senza che si degnasse di rispondermi e perciò non lo posso soffrire perché non basta scrivere dei capolavori, ma bisogna saper intendere La Coscienza)” (Ettore Schmitz a Marie Anne Comnène, 28 novembre 1925) (Svevo 1966 p. 769-771).

[2] https://www.corriere.it/cultura/21_aprile_03/scoperta-lettera-italo-svevo-coscienza-zeno-b473ffb4-949c-11eb-baed-430cc8195593.shtml.

 

BIBLIOGRAFIA

Svevo, Italo

La coscienza di Zeno, Bologna, Cappelli, 1923, BMF 7.T.V.147

 

Svevo, Italo

Epistolario, Milano, dall’Oglio, 1966, BMF FO.B.3302

 

Marchi, Marco

Italo Svevo oggi: atti del convegno: Firenze 3-4 febbraio 1979, Firenze, Vallecchi, 1980, BMF FO.B.10229

 

Del Missier, Silvano

Italo Svevo: introduzione e guida allo studio dell’opera sveviana: storia e antologia della critica, Firenze, Le Monnier, 1982, BMF Coll.o.649.74

 

Fava Guzzetta, Lia – Cacciaglia, Norberto (a cura di)

Italo Svevo scrittore europeo: atti del Convegno internazionale: Perugia, 18-21 marzo 1992, Firenze, Olschki, 1994, BMF MAR.B.0.2079

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