Luigi Pirandello, Enrico IV – CENTENARIO – Parte terza

Luigi Pirandello e Albert Einstein a Princeton, N.J. (Stati Uniti) nel 1935

di Vincenza Bordenca

Continua dalla seconda parte

Per il lettore non è facile muoversi  nei contorni  nebulosi e incerti dei fatti narrati; ancor meno lo è per lo spettatore che non può tornare a leggere e rileggere una seconda, e anche terza volta, le didascalie e i dialoghi dei diversi personaggi e che viene, piuttosto, spinto in avanti dall’incalzare delle battute concitate che si rincorrono in un ritmo vivace e rapido, spesso sovrapponendosi.

A far luce in questa oscurità è, ancora una volta, Landolfo che, grazie a una felice intuizione, riesce a indicare una chiave di lettura per comprendere cosa siano i due ritratti:

LANDOLFO […] Che sarebbero certo una stonatura, se veramente fossero quadri. […] Immagini, sono. Immagini, come… ecco, come le potrebbe ridare uno specchio,[…] Ebbene, lì, è come se ci fossero due specchi, che ridanno immagini vive, […]

Lo specchio rimanda indietro la nostra immagine, la nostra realtà fisica, e per Enrico IV quella del quadro, come quella dello specchio, è la propria immagine cristallizzata, nonostante il passare degli anni, in un volto di giovane uomo. La pignola precisione del giovane aristocratico che si era preparato a interpretare l’antico imperatore germanico, la sua ossessione, divenuta dopo l’incidente a cavallo follia vera e propria, hanno reso l’identificazione del personaggio con la propria maschera completa e assoluta: le due diverse realtà umane si sono unite e fuse in un’unica. Significativamente, il protagonista della tragedia è, nell’opera,  l’unico di cui Pirandello non fornisca il vero nome e cognome: a lui i vari personaggi si riferiscono senza nominarlo e parlando di lui  si scambiano occhiate e cenni del capo.

Lo scambio di battute dei quattro consiglieri, ora divertito e provocatorio, ora preoccupato e spazientito, viene interrotto dall’annuncio dell’arrivo in villa di quattro nuovi personaggi. Entrano in scena: la donna del ritratto, Matilde di Canossa, al secolo, Matilde Spina, (allora giovane aristocratica amica di Enrico IV e da questi amata), con la giovane figlia, la marchesina Frida, il fidanzato di questa, il giovane marchese Di Nolli (nipote di Enrico IV), Tito Belcredi e uno psichiatra, il Dottor Dionisio Cenoni.

I nuovi arrivati vengono descritti con rapide pennellate che ne indicano  tratti fisici e morali.

Di Matilde viene detto:

[…] sui 45 anni; ancora bella e formosa, […].Ve­dova da molti anni, ha per amico il barone Tito Belcredi, […].

Belcredi era stato a suo tempo rivale in amore di Enrico IV e causa involontaria, forse non troppo, (lo scopriremo in seguito insieme al monarca teutonico) del fatale incidente a cavallo. Fatale, non nell’accezione comune del termine: se infatti lo sfortunato cavaliere non era passato a miglior vita, è pur sempre vero che era morta la sua prima e vera identità e che il primo capitolo della sua vita era stato interrotto bruscamente.

Belcredi,

Smilzo, precoce­mente grigio, un po’ più giovane dì lei, ha una curiosa testa d’uccello. Sa­rebbe vivacissimo, se la sua duttile agilità […]non fosse come inguainata in una sonnolenta pigrizia d’arabo, che si rivela nella strana voce un po’ nasale e strascicata.[…]

è, oggi come ieri, l’amico di sempre di Matilde. Il  rapporto tra Matilde e Tito, misterioso e non molto chiaro forse nemmeno per la stessa coppia che lo vive, è un gioco delle parti tra i due:

[…].Quel che Tito Belcredi è poi in fondo per lei, lo sa bene lui solo, che perciò può ridere, se la sua amica ha bisogno di fingere di non saperlo;[…].

Carlo Di Nolli,

 […] giovine rigido, […], ma chiuso e fermo in quel poco che crede di poter essere e vedere nel mondo; per quanto forse, in fondo, non lo sappia bene neanche lui stesso. […]

Leggendo attentamente questi passaggi e soffermandoci su indizi buttati lì come a caso,tra le righe, Bisogno di fingere di non saperlo, Fermo in quel poco che crede di poter essere, In fondo non lo sappia bene neanche lui stesso…emerge, netto,  un dato: l’autore, quasi in un ritornello, pone l’accento sulla precaria e apparente certezza delle verità, sulla debole fermezza delle diverse realtà umane delle persone/personaggi. E’ il credo di Pirandello, motivo fondante della sua narrativa e delle sue pagine teatrali, stigmatizzato nel titolo del romanzo (iniziato già nel 1909 ma uscito nel ’26 da Bemporad a Firenze. L’edizione è posseduta dalla Biblioteca Marucelliana. Segnatura: 7.S.VII.242 ) Uno, nessuno e centomila dove, tra l’altro, leggiamo:

[…] Ciascuno di noi si crede “uno” ma non è vero: è “tanti”,[…] secondo tutte le possibilità d’essere che sono in noi: “uno” con questo, “uno” con quello” diversissimi! E con l’illusione, intanto, d’esser sempre “uno per tutti”, […].

Tra i nuovi arrivati inizia subito una discussione vivace e persino accesa sulla vera o presunta somiglianza di Frida con Matilde di Canossa.

Nel rapido scambio di battute che segue tra madre e figlia, Tito Belcredi e il dottore, è sotteso tutto il senso della realtà mutevole della vita, della prospettiva di quel punto di vista che è uno tra i tanti e non può mai essere il solo e unico neanche ai nostri stessi occhi. Non per niente Pirandello è contemporaneo di Albert Einstein e, in questo, l’autore agrigentino, è figlio del suo tempo.

DONNA MATILDE (che ha cercato con gli occhi in giro il suo ritratto, scopren­dolo e accostandosi): Ah, eccolo là! (Mirandolo a giusta distanza, mentre in­sorgono in lei sentimenti diversi.) Sì sì… Oh, guarda… Dio mio… (Chiama la figlia:) Frida, Frida… Guarda…

FRIDA: Ah, il tuo ritratto?

DONNA MATILDE: Ma no! Guarda! Non sono io: sei tu, là![…]

DONNA MATILDE: […] (Scotendosi come per un bri­vido alla schiena:  ) Dio, che senso! (Poi, guardando la figliuola:  ) Ma come, Frida? […]Vieni! Non ti vedi in me, tu, là?

FRIDA: Mah! Io, veramente…

DONNA MATILDE: Non ti sembra? Ma come non ti sembra? […]

DOTTORE […]: […] Mi pare che – dopo tutto – non ci sia da stu­pirsi che una figlia somigli alla madre…[…]

BELCREDI (rispondendo alla marchesa): Ha detto che non c’è da stupirsi; men­tre voi ne siete tanto stupita. E perché, allora, scusate, se la cosa è per voi adesso così naturale?

DONNA MATILDE […] Perché non c’è mica mia figlia, là. (Indica la tela.) Quello è il mio ritratto! E trovarci mia figlia, invece che me, m’ha stupito; […]    

DONNA MATILDE: […] Perché lei non può conoscersi in me, com’ero alla sua età; mentre io, là, posso bene riconoscermi in lei com’è adesso.

DOTTORE: Giustissimo! Perché un ritratto è lì sempre fisso in un attimo; lon­tano e senza ricordi per la marchesina; mentre tutto ciò che esso può ricor­dare alla signora Marchesa: mosse, gesti, sguardi, sorrisi, tante cose che lì non ci sono…[…]

DOTTORE (seguitando, rivolto a lei): Lei, naturalmente, può rivederle vive, ora, in sua figlia.

Il gioco delle parti tra i diversi protagonisti, il motivo degli specchi, i ritratti come specchi, i volti su tela che rimandano a somiglianze vere o  no, … tutti ingredienti pirandelliani di una mutevole e molteplice realtà cangiante, di un mondo che varia come in un colorato caleidoscopio, un mondo in cui, paradossalmente, l’unico punto fermo è rappresentato dalla follia di Enrico IV, o forse no…

Continua…

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