Il Silos di Trieste, ex granaio che per diversi anni ha ospitato i profughi dalmato-istriani
di Vincenza Bordenca
Continua dalla terza parte
Il tema della memoria che abbiamo già visto ne La radura diventa cardine portante nell’opera Verde Acqua, un romanzo in forma di diario scritto negli anni della maturità dal 24 novembre 1981 al 27 novembre 1984. Racconta la vita della Madieri dalle prime esperienze di bambina vissute a Fiume, in casa della nonna, in quel microcosmo di affetti familiari, al momento dell’esilio e all’arrivo a Trieste; poi i lunghi anni al Silos, con tutte le sofferenze fisiche ed emotive di quel difficile momento della sua vita, l’inserimento infine nel tessuto sociale di Trieste, gli anni del liceo, il suo amore con Claudio Magris, il matrimonio, il lavoro, i figli.
Ogni data riportata sulle pagine dell’opera potrebbe essere facilmente ed indifferentemente un’altra: sono sì date cronologiche, ma non quelle di un diario nel senso classico del termine; i fatti narrati non seguono infatti un ordine cronologico, quanto un’urgenza emotiva. Seguendo il filo della memoria, tracciano un percorso che non è quello delle singole vicende rivissute nel racconto, quanto quello delle emozioni: sono ricordi che vogliono riemergere e che urgono di venire a galla in un percorso voluto alla riscoperta di sé, per riappropriarsi della propria vita. Nell’età della maturità, ormai libera dagli impegni lavorativi ( in pensione dal suo lavoro di insegnante di lingua e letteratura inglese) e con i figli già grandi, la Madieri sente l’esigenza di ripercorrere la propria vita e riviverla nei ricordi, per collegare quelli che, nel corso di un’intera esistenza, erano rimasti fili pendenti, sconnessi, e poter quindi trovare quel filo unico attorno a cui si erano intrecciati. Così le pagine passano da un anno all’altro, da un momento di vita presente di donna felicemente sposata e appagata nei suoi ruoli di moglie e di madre, agli anni di studi presso il collegio delle suore, agli anni giovani delle nonne, alla malattia degli ultimi anni, ai suoi giochi infantili e alle sue amicizie multietniche in una Fiume che stava cambiando nazionalità, lingua, costumi. Alle lotte dei genitori e ai loro sacrifici, alle notti fredde nel Silos, alle vacanze in Istria con il marito.
Ogni pagina trasporta il lettore in un altro paese e in un’altra realtà, mostra volti e storie ed emozioni sempre nuove e diverse, intense.
Nel diario, l’azione della memoria della scrittrice recupera la propria vita, ma anche quella di tanti che, come lei, hanno vissuto l’esodo, l’esilio e la vita da profughi; da questo punto di vista Verde acqua è anche un romanzo storico, testimone di un particolare momento della storia del nostro Paese.
A proposito della natura storica del proprio romanzo così l’autrice in alcune interviste:
Il confronto col tempo è continuo e il presente e il passato sono fusi e intrecciati, […]. Questo passato abbraccia grosso modo i primi anni della mia vita a Fiume, verso la fine della seconda guerra mondiale, e i lunghi anni di campo profughi trascorsi dalla mia famiglia […] al Silos, dopo l’esodo. Non c’è però alcun tentativo di ricostruzione storica, anche per mia incapacità a farlo, ma tutto è narrato così come è stato vissuto.
Il mio libro non è un libro sull’esodo, o meglio anche dell’esodo, ma non solo. L’esodo rappresenta in questa storia certamente l’esperienza fondamentale e incancellabile. Non c’è prospettiva storica ma si narrano solo esperienze dirette, viste con gli occhi di una ragazzina. Microstoria.
Il sentimento che prevale in me oggi, pensando alle traversie di ieri, è la malinconia, non certo il risentimento. Il mio modo di pormi di fronte alla vita è stato segnato da questa esperienza e il mio viaggio nel passato è stato accompagnato da un sentimento di pietas per tante esistenze oscure, sacrificate e cancellate dalla grande Storia. Scrivere questo libro ha significato anche soddisfare il bisogno di testimoniare, di sottrarre all’oblio una vicenda che ha coinvolto la mia famiglia, come un enorme numero di altre persone. Una vicenda dimenticata, poco conosciuta dalla maggioranza degli italiani, e forse rimossa dalla coscienza nazionale. […]. Ho cercato solo di testimoniare. Credo che ogni testimonianza, anche piccola, della verità conduca alla pacificazione. Ricordare, senza animosità, senza false preoccupazioni politiche o diplomatiche, la violenza subita dagli esuli è l’unica vera premessa per il dialogo e la conciliazione.
Leggendo queste parole, testamento morale della Madieri, mi chiedo quali potrebbero essere le sue parole oggi che la grande Storia contemporanea sta cancellando e sacrificando tante esistenze condannate all’oblio, peggio, al non riconoscimento; oggi che ci voltiamo facilmente dall’altra parte senza pietas né pietà, direbbe, forse, che queste vittime sono rimosse dalla coscienza di tutti?
Non è solo per recuperare il proprio passato che la Madieri scrive Verde acqua, il significato dell’opera per la donna va oltre: Marisa sta nuovamente lottando con la malattia che, vinta una prima volta, le si ripresenta come compagna combattuta con grande coraggio e lucidità negli ultimi suoi quindici anni di vita. Il romanzo /diario è per lei come una preparazione a prendere congedo dai propri cari e dalla propria vita: nasce anche dal desiderio di fermare il momento presente, quello con il marito e i figli e di trattenerlo nelle pagine. Ne farà dono a chi, un giorno, dovrà lasciare dietro di sé. Non a caso Verde acqua è dedicato ai figli, con semplicità, senza frasi aggiunte, solo con i nomi con i quali li aveva chiamati tutti i giorni della sua vita.
Concludendo, possiamo dire che Verde acqua può quindi definirsi tanto un diario, quanto un romanzo autobiografico che diventa anche romanzo storico e sociale, ma anche romanzo di donne, e storia di un’educazione sentimentale e poi romanzo di famiglia. E’ un’opera composita, come in musica, un’opera polifonica che vibra delle diverse sinfonie mai contrapposte ma sempre fluidamente inserite in un unico corpo. I diversi registri di cui si compone, diaristico, storico, sociale, convivono armoniosamente e danno vita ad un’opera singolare, di forte impatto emotivo, ma di uno stile mai ridondante, enfatico, dai toni forti come le emozioni vissute, tutt’altro: la sua è una prosa pacata, delicata, lineare, e tutto ciò che viene detto è sempre sottovoce, e i non detti sono molti di più. Spesso l’autrice lascia indovinare un’emozione, non la racconta, non la spiega, la tiene per sé in un naturale riserbo che le è congeniale.
La sua attenzione è dedicata prevalentemente a tutto un universo femminile che le gravita intorno: alle nonne, alle zie, alla sorella, alla nipote, alla suocera, alle ragazze del c.a.v., alle diverse donne all’interno del Silos, a tutte quelle figure che accompagnano il suo viaggio, alcune poste sotto la lente di ingrandimento, altre solo lievemente accennate.
E’ un mondo che inizia con la madre, Jole. A lei è dedicato il romanzo, ma non nel modo consueto in cui un autore dedica la propria opera a qualcuno. Abbiamo detto infatti che il diario è dedicato ai figli ma, leggendo l’opera, il lettore scopre che pure la dedica alla madre, se non scritta, è tutta nel titolo stesso del romanzo. Verde acqua infatti non è, o perlomeno non soltanto, il colore trasparente e cristallino del mare istriano il cui ricordo la lega indissolubilmente al marito, ma scopriamo essere un elemento di profondo valore affettivo che la lega alla madre.
Nell’episodio del 10 maggio 1984, Marisa adolescente viene invitata ad una festa in casa della compagna di banco, di famiglia agiata. Nessuno delle sue compagne conosce le sue reali condizioni di vita, a nessuno ha mai detto di vivere nel Silos; pur rallegrata per l’invito ricevuto, vorrebbe quasi declinarlo perché si vergogna della propria inadeguatezza non possedendo un abito adatto alla circostanza. Jole allora, indovinando l’imbarazzo e la sofferenza della figlia, e non volendola privare di quell’unica gioia, senza pensarci una volta di più, si era privata di cose a lei care e con il ricavato le aveva regalato una gonna vaporosa e un coordinato,
[…] un cardigan e una maglia a giro collo, in orlon color verde Nilo […]
Conservai quel completino per anni, con gelosia, anche se purtroppo il tessuto di fibra sintetica, con le lavature, divenne sempre più lungo e più largo, fino a sformarsi del tutto. Anche verde acqua si chiamava quel colore, che per me è ancor oggi il colore dell’amore.[1]
Così, da allora e per sempre, il colore verde acqua diventerà per Marisa “ il colore dell’amore”.
[1] Verde acqua pp.121-122.