“A SPILLUZZICO E A STENTO”. Gli orari della Marucelliana

di Sara Jacobsen

Riportiamo qui il testo di un articolo pubblicato sul numero del 12 settembre 1857 de IL PASSATEMPO, un godibilissimo settimanale di critica drammatica e letteraria e umorismo colto, pubblicato a Firenze dal 1856 al 1859.

Nell’articolo vengono riportate le lamentele dei lettori circa gli orari di apertura della Biblioteca Marucelliana, ridotti e disagevoli (dalle 9.00 alle 13.00, tre giorni alla settimana). Nonostante la situazione sia migliorata, si tratta di un tema ancora attuale. Ci auguriamo di potere, in un futuro non troppo lontano, essere in grado di garantire aperture che ancora meglio soddisfino e accolgano i nostri affezionati frequentatori e quelli che ancora non lo sono.


LA BIBLIOTECA MARUCELLIANA

Da molto tempo in qua l’Ufficio del Passatempo riceve lettere di giovani studiosi, i quali, dolendosi acerbamente di quella Biblioteca Marucelliana che si apra tanto a spilluzzico e a stento, ci pregano che se ne dica pur qualche cosa e se ne mostri gl’inconvenienti. Uno dice: “Vede, sor Passatempo, quella è una libreria sceltissima; e tante cose che son lì si cercano invano nell’altre: ma bene, si metta un po’ a studiarvi qualcosa, se le riesce! Il lavoro che si potrebbe fare in otto giorni, ci vuole due mesi, con quel suo aprirsi tre volte sole la settimana, e stare aperta sino al tocco solamemente”. Un altro: “Sor Passatempo, dica qualcosa della Marucelliana. o in che parte del mondo s’è egli mai visto che una Biblioteca pubblica non si apra tutti i giorni, e fino ad un’ora conveniente? A questo modo è l’istesso che non ci sia”. Tizio sbraita così: “Ma per mio! C’è da batter la testa nel muro: o che utilità dà una Biblioteca ordinata come la Marucelliana? O non è ella come il talento del Servus nequam sotterrato ed infruttuoso? Io sono un povero scolare delle Belle Arti, e benchè nella detta libreria ci siano cose preziose per gli studj nostri, o vacci un po’, via, se la sta aperta in quell’ore che noi altri s’a ire alle scuole!” Sempronio un po’ più temperato, ma dolente, scrive: “Creda, sor Passatempo, che quando penso alla Marucelliana me ne va il sangue a catinelle: vedere una bella libreria a quel modo lasciata da studiar solo a’topi, e alla polvere! Quanto bramerei di poterci andar io! Ma come si fa con quel giorno sì e giorno no, e con quel chiudere al tocco? E chi c’è che dalle nove al tocco non sia occupato negli obblighi del proprio stato? Dunque, oltre all’essere strana cosa che una Biblioteca si apra sole tre volte la settimana, questa qui par che sia aperta solo agli scioperati, perchè altri che loro dalle nove al tocco non son liberi: e loro non istudiano. Dunque essa è aperta per nessuno, e tanto sarebbe il tenerla chiusa. Forse Dio le mancano assegnamenti proprj da potere stare aperta sempre, e da potere essere utile veramente alla città!” Altri altro: “Io però dico a tutti questi signori che non voglio entrare in questi venticinque soldi, non essendo materia da me, e non volendo impicci. Solamente rammenterò loro la graziosa risposta che mi dette persona colà autorevole, quando io gli domandai, perchè non si dava cura di veder se era possibile l’ottenere che si aprisse tutti i giorni la Biblioteca, e si tenesse aperta fino ad un’ora conveniente. E’ mi condusse in via Larga dirimpetto alla Biblioteca, e mi disse: Leggete quella iscrizione lassù tra le due finestre, ed io lessi: Marucellorum Bibliotheca – publicae – maxime pauperum – utilitati. Vedete, e’ continuò, è ordinata a utilità de’ poveri: ora, l’avete letto S. Matteo, là dove dice Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum coelorum? Per guadagnarsi il paradiso, egli dice, bisogna esser poveri di spirito: quanto più si studia, e più la povertà di spirito, generalmente parlando, se ne va: dunque per secondare le intenzioni del testatore e perchè la Biblioteca torni veramente utile a’ poveri, bisogna che stia aperta il meno possibile, acciocchè la gente non cessi di esser povera di spirito, e ne perda il regno de’ cieli. Ammirai la sua dottrina, e conobbi quanto è facile, censurando altrui, far vedere il nostro poco senno”.

Il Passatempo, Firenze, Anno II, numero 37, 12 settembre 1857, BMF, 7.G.II.2

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